Intervista a Pietro Maroè
Pietro Maroè
Pietro si definisce “figlio d’arte”, l’amore per il suo lavoro glielo ha trasmesso suo padre, tree climber prima di lui. Pietro a soli 10 anni gira già con i segacci in mano e si arrampica sugli alberi. A 17 anni decide di prendere l’abilitazione come tree climber, è inoltre perito forestale e festeggia quest’anno 10 anni di attività con la sua squadra di arboricoltori di SuPerAlberi. Conosce il caso della Quercia delle Checche nel 2014 quando quest’ultima subisce il primo crollo della branca principale: fa un sopralluogo e stila una relazione con delle indicazioni precise per la corretta manutenzione e salvaguardia della salute della Quercia delle Checche.
Le indicazioni però vengono disattese e il caso vuole che un fulmine, nell’agosto del 2017, colpisca la quercia causando il cedimento dell’altra branca principale. A questo punto, l’associazione Opera Val d’Orcia, con a capo Nicoletta Innocenti, si attiva affinché Pietro compia un altro sopralluogo e una seconda analisi rispetto alle condizioni della quercia. L’albero appare disidratato, questo è il motivo principale del cedimento delle branche. C’è bisogno di apporto idrico costante e di uno strato di pacciamatura che possa riprodurre lo strato di terreno che verrebbe a crearsi naturalmente in un sottobosco. La quercia al momento è isolata, non ha niente intorno, ma dobbiamo immaginarci che facesse parte di un bosco vetusto e che, grazie alle interazioni con le altre piante, potesse godere di uno scambio di nutrienti costante. Il disboscamento avvenuto a metà ‘800 ha isolato la quercia che, ad oggi, non può più contare sul supporto che solo un bosco vetusto può dare.
Pietro tiene a sottolineare che le condizioni critiche in cui verte la roverella non sono imputabili solo ad una cattiva gestione da parte della giunta comunale: poco prima del crollo della seconda branca, un fulmine si è abbattuto sul fusto causando vari danni. Certo è che, la tempestività d’azione diventa determinante in questi casi. Le misure da apportare poi, sebbene appaiano difficili da applicare, sono decisive.
Ci fa notare che l’isolamento della quercia potrebbe aver peggiorato le condizioni di questa: gli alberi sono esseri viventi sociali tanto quanto gli esseri umani e la loro forma di ecosistema sociale è il bosco dove le piante si connettono tra loro e godono della compagnia del muschio, dei funghi e di varie specie di insetti. Le piante, comunicando tra di loro, si supportano e dislocano gli elementi chimici presenti nel terreno in maniera equa e ordinata. Per non parlare del fatto che in un bosco, le piante, riescono a fronteggiare le raffiche di vento: gli alberi che abitano un bosco subiscono meno danni a causa delle condizioni atmosferiche, rispetto ad alberi emarginati. In un bosco, gli alberi tendono a proteggersi l’uno l’altro, per questo motivo crescono in maniera funzionale cercando di filtrare più vento possibile. Si tratta di un unicum che si autogestisce, viene da se che una pianta isolata non può più godere del supporto del suo bosco, diventa vulnerabile e può ammalarsi.
E allora quando ci accorgiamo che una pianta è malata? Quali potrebbero essere i segni del malessere della Quercia delle Checche?
Pietro consiglia di “osservare”, è importante per cui monitorare costantemente la salute della quercia, almeno una volta all’anno, al fine di compiere gli interventi più idonei. Il tree climber fa notare che probabilmente la Quercia delle Checche ha già contratto qualche patologia a causa del fulmine e dei cedimenti che hanno facilitato l’innescarsi di fitopatologie. Dopo un rapido sguardo a delle foto attuali della quercia, afferma che le condizioni in cui verte la roverella sono critiche: il supporto di cui necessita è di tipo fitosanitario, andrebbe mantenuta viva la microflora ai piedi del fusto e limitare la crescita di erba, altamente competitiva.
Bisognerebbe inoltre sostituire il supporto rigido che sostiene una branca secondaria: questa si è rilassata e lo sta assorbendo. Sarebbe utile utilizzare un supporto flessibile che permettesse alla fronda di muoversi e di espandersi. Pietro nutre un amore esclusivo nei confronti di quest’albero: la sua architettura è particolare e lo contraddistingue un attaccamento fervente alla vita. La Quercia delle Checche secondo lui,, si deve sentire particolarmente sola. L’ultima volta che l’ha vista era notte fonda, il cielo pulito e colmo di stelle. Gli è parsa un guerriero vinto, con la sua armatura e le sue armi (le branche principali) a terra, in attesa del colpo di grazia.
Pietro, intenerito da quest’immagine, prende a cuore la questione e si lascia ispirare. Scrive il libro “la timidezza delle chiome” in cui cerca di rendere accessibile a chiunque il mondo degli alberi e il loro valore troppe volte dato per scontato.
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