INTERVISTA AD ALFIERO MAZZUOLI
ALFIERO MAZZUOLI
![]() |
Alfiero Mazzuoli è tesoriere dell’associazione
Opera Val d’Orcia che da diversi anni si occupa di tutelare il patrimonio
ambientale e culturale del luogo. Abbiamo fatto due chiacchiere con Alfiero per
conoscere meglio la Val d’Orcia e in particolare la Quercia delle Checche che è
ormai da diversi anni sotto la protezione dell’associazione.
Lei in che modo è così legato alla
quercia delle checche?
Tutti
quelli che vivono in Val d’Orcia sono legati alla quercia perché è il simbolo
di questa terra. La quercia faceva parte di un boschetto che poi è stato
tagliato a fine ‘800 per la costruzione della ferrovia Firenze-Roma per
ricavare le traverse. Rimasero lei e poche altre querce fino agli anni ’50. La
quercia si trova radente una strada che risale agli anni ’30. Negli anni ’30
c’era stata la bonifica fascista, i campi sono pianeggianti e sono stati
realizzati col metodo delle “colmate”: si formava un argine verso il fosso del
fiume con legno e sassi e poi si aspettava due/tre annate di piogge, la pioggia
dalla collina portava giù la terra e veniva un campo ben livellato, come un
biliardo. La quercia fu salvata, negli anni ’50 da Antonio Origo, che era il
proprietario della tenuta “La Foce” ed era stato anche presidente del Consorzio
di Bonifica della Val d’Orcia. Un mercoledì mattina stava andando al mercato a
Siena. Andando verso Siena si accorse che appena fuori da quella che era la sua
proprietà stavano tagliando tutte queste querce che erano rimaste. Si irritò
moltissimo ma questo valse a salvare almeno la Quercia delle Checche. Questo è
stato, quindi, il primo salvataggio.
Secondo lei cosa lo spinse a voler
salvare la quercia?
Lo spinse l’amore per le piante, l’amore
per la natura e per la Val d’Orcia. La volontà di tutti è quella di tagliare il
più possibile perché le piante, secondo tanta gente, fanno danni oppure danno
ricchezza perché si forma qualcos’altro. Si taglia in Amazzonia per formare
campi che poi daranno culture più redditizie. Oppure da noi si tagliano le piante
per fare legname perché possa essere venduto.
Sugli Origo sa dirci qualcosa in più?
Soprattutto sulla moglie?
Su Iris si trova tanto anche su internet
perché è una scrittrice molto famosa. Antonio Origo viene da una famiglia
nobile. Figlio di Clemente Origo che era uno scultore e pittore dei primi del
‘900. Molto amico di d’Annunzio: addirittura d’Annunzio invitava gente a casa
di Clemente Origo. Molto invadente, diceva che le case di Clemente Origo erano
le sue. La famiglia Origo proviene dall’Umbria originariamente, da Trevi, però
si è trasferita a Roma nel ‘400/’500. La famiglia Origo viene a “La Foce” negli
anni ’20. Antonio si sposa con Iris che è anglo-americana, figlia di una nobile
irlandese e di un possidente americano. La famiglia, sempre dall’Irlanda, si
era trasferita in America e aveva fatto la sua fortuna costruendovi le
ferrovie. Il papà e i fratelli di Iris Origo ormai non sono più uomini d’affari
ma gestiscono il loro patrimonio e hanno incarichi diplomatici. Iris Origo, nel
libro “Immagini e ombre” racconta la sua biografia. Nel 1923 Iris e Antonio si
stanno per sposare e vorrebbero vivere in campagna. La madre di Iris Origo è
proprietaria di Villa Medici a Fiesole e Antonio vive a Firenze, però ha fatto
studi in Svizzera e lavora in Germania. Si conoscono e decidono di comprare
un’azienda e di cercare di fare la vita di campagna; anche se sconsigliati da
tutti gli amici e da tutti i parenti, scelgono di comprare “La Foce” che è una
zona molto depressa con nemmeno la casa abitabile al momento del loro acquisto
e con tutti i poderi da ricostruire. Loro comprano la tenuta perché vogliono
fare un lavoro di ricostruzione e cercare di aiutare la gente molto povera che
abitava da quelle parti e migliorare il terreno. Ci riescono sicuramente perché
ora la Val d’Orcia è una delle zone più ambite a livello mondiale, più belle
d’Italia. Loro hanno questo merito di aver conservato e migliorato la Val
d’Orcia. Il fiume Orcia comincia a scendere verso il fiume Ombrone e Bagno
Vignoni: Bagno Vignoni è una gola, quasi, di tutta questa valle. Ci sono
diversi motivi per cui La Val d’Orcia oggi appare così. Il papa Enea Silvio
Piccolomini aveva nei suoi progetti, oltre alla realizzazione della città di
Pienza, anche la chiusura del fiume Orcia a Bagno Vignoni per creare un grande
lago in Val d’Orcia. Fortunatamente il suo papato durò poco altrimenti anche la
Quercia delle Checche sarebbe scomparsa. Altro motivo che ha fatto sì che la
Val d’Orcia non avesse uno sviluppo è stata la sua povertà. Nessuno veniva a
investire qui perché era talmente argillosa e improduttiva che non sono stati
fatti investimenti, infatti il cemento armato non si è visto fino agli anni ’80.
Anche un altro particolare ha fatto sì che la Val d’Orcia non avesse uno
sviluppo: è stato il non passaggio dalla Val d’Orcia dell’autostrada. Originariamente
l’autostrada, quando fu progettata negli anni ’50, avrebbe dovuto seguire il
percorso della Cassia: si tratta, infatti, anche secondo i romani, del percorso
più veloce per raggiungere Firenze. L’autostrada sarebbe dovuta quindi sorgere
proprio in Val d’Orcia. Grazie a un politico allora molto influente l’autostrada
fece una grossa curva e passò per Arezzo. Ringraziamo Amintore Fanfani per
questo.
Con Nicoletta Innocenti, presidente di Opera
Val d’Orcia, abbiamo approfondito il rapporto tra i residenti della Val d’Orcia
e la Quercia. Le persone vi andavano anche a festeggiare i matrimoni. Lei ha
qualche storia di questo tipo?
La Quercia delle Checche è sempre stato un
riferimento per tutti quelli che vivevano in Val d’Orcia. I matrimoni nel gli
anni ‘30/’40/’50 si svolgevano all’incirca così: il matrimonio delle famiglie
contadine si svolgeva sempre nella parrocchia degli sposi la mattina molto
presto, alle 7 o al massimo alle 8 perché bisognava dare il tempo per lo
sviluppo di tutta la giornata che era il giorno più bello della vita della coppia
e di tutta la famiglia. Si partiva a piedi tutti insieme dalla parrocchia, il
corteo nuziale di sposi avanti e tutti dietro. Le distanze potevano essere
abbastanza lunghe. La tradizione della campagna toscana, almeno della Val
d’Orcia, era che durante il tragitto degli sposi coi parenti, i poderi che si
incontravano delle famiglie amiche formavano un piccolo rinfresco. Si chiamava
“la parata”. Questa parata si formava nei poderi che si transitava per andare a
casa della sposa. Era usanza delle famiglie che vivevano nella zona della Quercia
delle Checche di fare invece la parata sotto la Quercia. Poi il matrimonio
continuava a casa della sposa e c’era il pranzo nuziale fino alle 16 del
pomeriggio. Finito il pranzo nuziale ci si dirigeva poi verso la casa dello
sposo e in questo ritorno verso la casa dello sposo si riformavano altre
parate. A casa dello sposo si faceva la cena e poi chi riusciva se ne tornava a
casa propria. La questione dei sabba delle streghe è assolutamente da
sconfessare. La storia è da attribuire alle tante “cecche” (le gazze) che
popolavano quei campi.
E rispetto alle storie legate ai partigiani,
al periodo della Resistenza?
Essendo un punto di riferimento, i
partigiani andavano lì a nascondere le armi per scambiarsele con i partigiani
della zona di Monticchiello e di Pietra Porciana (zona dell’Amiata). Questo è
vero. Oltre la quercia delle checche c’è un podere, che è sopra il Formone,
dove i fascisti ammazzarono due dei componenti della famiglia che vi abitava perché
erano stati avvistati a portare armi sotto la Quercia delle Checche.
Su internet si fa tanto riferimento al fatto
che le truppe napoleoniche siano transitate presso la Quercia delle Checche.
Lei sa qualcosa di un po’ più approfondito?
È probabile che le truppe napoleoniche siano
transitate da qui, perché i sentieri dei fiumi erano i più battuti. Può darsi
che abbiano fatto il campo in quella zona. Però naturalmente quello che avete
letto voi l’ho letto anch’io.
Nicoletta ci ha anche parlato dei lavori che
si fanno attorno alla quercia, come ad esempio “Vivaio diffuso”. Ci sono altre
attività in programma per il futuro?
Noi
tre anni fa abbiamo raccolto le ghiande che poi abbiamo portato nelle scuole,
per piantarle nei vasi sia a scuola che a casa con i nonni dei bambini. E sono
venute fuori delle piccole querce figlie della quercia originale. Abbiamo fatto
un incontro con dei funzionari per capire se c’è la possibilità di avere un
terreno a disposizione per piantarle e riformare un piccolo bosco. L’attività con
le scuole (asilo, elementari e medie) è andata avanti tranne per l’anno scorso.
Lo scopo è ripiantare, appunto, un piccolo bosco vicino alla quercia delle
checche. Quello che poteva essere un segnale per chi passa dalla quercia delle
checche è una specie di Epifania: tutti quelli che passano e che hanno questo
incontro con la quercia subiscono la sua influenza positiva. I pellegrini che
la abbracciano, come l’aveva abbracciata Ghino di Tacco, subiscono questa
influenza. Perché voi sapete che tutte le piante hanno questa capacità di
suggestionare gli animi.
Commenti
Posta un commento