Il Conte Cristiano e il segreto dell'Eremo
Il Conte Cristiano e il segreto dell'Eremo
Storie di Popoli e vite lontane
Scicli, Piana delle Milizie, Marzo 1091
All’indomani della vittoria, i normanni si riunirono nella piana delle Milizie, luogo della battaglia, per fare la conta dei danni; era stata una lunga notte, fatta di sangue e violenza.
I turchi, scesi dalle galee, avevano fatto una strage ed il Conte Ruggero non riusciva a darsi pace; durante la notte aveva avuto attacchi di febbre, forti mal di testa ed allucinazioni riguardo una donna a cavallo che brandiva una spada al cielo e che uccideva i nemici.
Ruggero non ricordava nulla, l’unica sua certezza era la vittoria ottenuta, con difficoltà, sui sanguinari saraceni; era felice, quasi incredulo ma anche molto scosso.
Da anni infatti, nonostante il loro dominio sull’isola fosse finito da tempo, i musulmani minacciavano le coste siciliane e con frequenti incursioni facevano stragi e razzie; questa volta però era diverso, il Conte Ruggero sentiva che non sarebbero mai più tornati.
Dentro di sé Ruggero aveva la certezza che fosse un capitolo ormai chiuso; tirando, dunque, un sospiro di sollievo si recò anche lui nella piana delle Milizie per riunirsi al suo esercito.
Veduta della Piana delle Milizie dall'Eremo
All’improvviso il Conte ricordò perfettamente ciò che era avvenuto il giorno prima: non era un sogno, la donna a cavallo era il motivo della loro vittoria! Era la Vergine Maria, che, ascoltando le loro preghiere, era scesa in terra, vestita da amazzone ed aveva combattuto a fianco a loro contro l’agguerrito nemico. Il Conte Ruggero era attonito: cosa sarebbe successo se la Madonna non fosse venuta in loro soccorso? Non voleva nemmeno pensarci.
In quel momento, si avvicinò a lui il fido Tancredi che, abbracciandolo, gli offrì l’ultimo sorso di vino esclamando tra le lacrime: “Mio re, costruiamo un eremo alla Madonna guerriera per renderle grazie, affinché la città di SCICLI e la piana delle Milizie siano per sempre benedette, al sicuro da ogni avversità.”
Ruggero accogliendo la richiesta ordinò: “Chiamate Fra’ Gilberto, affinché benedica il suolo dove la Madonna si è posata; io lì porrò la prima pietra del santuario in suo onore”.
Il popolo tutto si mise in subbuglio, giunse il frate, accorsero le donne, gli uomini si misero a disposizione per costruire l’eremo. Il Conte Ruggero posò la prima pietra, recitando un’invocazione alla Madonna in un momento di raccoglimento con tuti i presenti. I giorni che seguirono furono di festa, il popolo era spensierato, il nemico era un ricordo lontano.
Seguirono settimane di lavoro intenso; ogni pietra fu trasportata con grande impiego di risorse, tutta la popolazione contribuiva alla costruzione dell’eremo. Il responsabile era il fido Tancredi, cugino del conte Ruggero, che per primo aveva avuto l’idea, anche Fra’ Gilberto seguiva i lavori e spronava con entusiasmo tutti coloro che, stremati dalla fatica, alle volte si arrendevano.
Qualche tempo dopo, durante uno scavo, Fra’ Gilberto si accorse che qualcosa non andava: un uomo, infatti, cercava di scavare ma non riusciva ad andare affondo a causa dello spessore del terreno; il frate si precipitò ad aiutarlo ma fu tutto inutile.
All’improvviso, il cielo diventò grigio e si scatenò un violento temporale; tutti i presenti, terrorizzati, si dileguarono allorquando un fulmine colpì la pala che il frate aveva in mano, spezzandola in due. Il popolo si allarmò, interpretando l’evento come una sciagura, ma Frate Gilberto lo interpretò come un segno divino e iniziò a scavare a mani nude il terreno, vicino a dove giaceva la pala ormai distrutta. Il terreno era diventato malleabile grazie alla pioggia. Alcuni uomini si unirono per aiutarlo, iniziando a scavare anche loro a mani nude.
Ad un tratto scorsero qualcosa: forse una pietra, dell’oro, il ricordo di una civiltà passata…. tutti continuarono a scavare con più foga fino a quando non fu chiaro di cosa si trattasse: il primo ad capire la straordinarietà del ritrovamento fu il frate. “E’ una colonna di inestimabile valore” esclamò. Fra’ Gilberto era, infatti, uno studioso del mondo antico e intuiva cosa fosse quella colonna: immaginò il tempo lontano in cui degli uomini, avevano edificato un bellissimo tempio dedicato a una divinità.
Nelle fasi di estrazione qualcuno individuò piccoli segni ai lati della colonna, e, una volta rimossa la terra, fu evidente una frase intagliata sulla pietra; erano caratteri che i Normanni non conoscevano. Fra’ Gilberto conosceva il latino, si avvicinò per vedere meglio ma non riuscì a comprendere nessuna parola ed immaginò che i caratteri potessero essere greci.
La frase era la seguente “Phygein men oun chre polemon hostis eu phronei" ; nessuno era in grado di decifrarla, nessuno sapeva cosa fare, Frà Gilberto rimuginava cercando inutilmente, di interpretarla, di capire.
La costruzione dell’eremo proseguiva, il luogo di culto iniziava a prendere forma, il Conte Ruggero era in estasi e non vedeva l’ora che l’opera fosse completa.
Una sera, durante le consuete preghiere, Frà Gilberto, stanco dei vani tentativi, si rivolse alla Madonna. “Ti prego, O vergine, aiuta il tuo popolo a comprendere; ti chiediamo un segno che ci aiuti a decifrare la frase misteriosa.” Quella stessa notte il frate tentò inutilmente di prendere sonno, pensando e ripensando ad una soluzione; in cuor suo sentiva che la frase era legata al destino dell’umanità, ma non aveva strumenti di conoscenza.
Al contempo il Conte Ruggero banchettando, narrava ai suoi commensali l’evento miracoloso della Madonna Guerriera che li aveva salvati dal nemico, raccontava della colonna e di una frase da decifrare, convinto che la frase aveva uno scopo, che doveva esserci qualcosa di più. Anche Ruggero quella notte non riuscì a riposare, ma allorquando riuscì a riposare, gli apparve in sogno la Madonna a cavallo e gli parlò: “Ruggero, io darò a te ed al tuo popolo un grande futuro, se solo ascolterete le mie parole; tutti avete patito molto, io sono venuta in vostro soccorso, in battaglia con voi, per liberarvi dalle ingiustizie. Ascoltami, dunque! Molti popoli prima di voi hanno combattuto, ci sono state guerre e ancora ce ne saranno, molto sangue scorrerà ancora, ma arriverà il giorno in cui tutto questo cambierà; i tempi non sono maturi, ma ci sarà un tempo in cui regnerà la fratellanza tra i popoli. Tu, il tuo popolo e la città con questo edificio sarete portavoce di pace; la convivenza tra i popoli sarà la vostra ricchezza e quest’isola sarà per sempre un porto sicuro nel quale approdare. Ti faccio un dono prezioso: tu parlerai tutte le lingue del mondo per comprendere le parole di tutti i popoli della terra. Recati all’eremo domani, e decifrerai la frase.”
Il conte Ruggero, impaurito e scosso, non comprese le parole della vergine; all’alba si recò sull’eremo, insieme a Frà Gilberto, si avvicinò alla colonna, guardò la frase, lesse lentamente e iniziò a tradurre ad alta voce “Chi ragiona, deve evitare la guerra.” Il frate era sbalordito: la madonna lo aveva ascoltato, Ruggero comprendeva il testo. Il conte allora raccontò al frate il sogno, il messaggio e il dono ricevuto dalla vergine; la frase indicava la missione sua e dei suoi successori per rendere l’isola un porto sicuro e accogliente.
Quella stessa sera il conte siglò un patto di pace con il suo popolo al quale seguì una grande festa; la colonna fu inserita in una teca e portata in giro per la città. Poco tempo dopo l’eremo fu completato ed il luogo divenne punto di riferimento per i pellegrini e gli stranieri che venivano in città.
Il conte viaggiò e visitò luoghi lontani e grazie al dono ricevuto ebbe la possibilità di conoscere e relazionarsi con popoli e culture; ad ogni suo ritorno condivideva con il suo popolo tutto quello che aveva appreso; invitò anche molti stranieri a soggiornare in città, affinché facessero conoscere alla sua gente usi e culture diverse. Il suo popolo apprezzò la bellezza delle diversità che caratterizza ancora il dialetto, la cucina, le tradizioni. L’isola divenne, nel corso dei secoli, un crocevia di popoli ed ha rappresentato e rappresenta ancora un porto sicuro nel quale approdare dopo tanto vagare.
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