La città di Poggiobonizio
La città di Poggiobonizio
Nascita dei castelli nell' alta Val d'Elsa (X - XII sec.)
“L’origine
di Poggibonsi, come quella di altre città ben più illustri, si perde nel buio
della più remota antichità. La tradizione si mescola alla storia e, poiché non
vi sono documenti su cui fare leva per diradare i veli che coprono il primitivo
inizio di questo borgo, ci resta impossibile controllare la veridicità di
quanto è stato tramandato.”
Queste
sono le premesse per raccontare la nascita e lo sviluppo del castello di Poggio
Bonizio, che si inserisce a pieno nelle lotte tra i comuni medioevali in
Toscana. Nelle indagini storiche tuttavia non è sempre stato possibile
discernere i fatti realmente accaduti da quelli leggendari, così come è stato
fatto notare dall’Antichi. Neanche le ricerche archeologiche aiutano a far luce
in tal senso, poiché i resti di questo periodo sono stati spesso ricoperti da quelli
di epoche successive.
Nel X secolo iniziò in Toscana, e anche in Val d’Elsa, il fenomeno dell’incastellamento che, nella maggior parte dei casi, si limitava alla fortificazione dei nuclei abitativi già esistenti. Questa sorte è toccata, pur non essendoci prove dirette che lo confermino, anche a Poggibonsi. Non a caso il castello di Poggio Bonizio fu eretto nel 1155 sulla collina di Poggio Imperiale, luogo dove già dall’epoca tardoantica erano presenti dei villaggi.
Castelli nella zona di Poggibonsi tra X e XI secolo in Poggio Imperiale a Poggibonsi |
Per quanto riguarda la nostra indagine ci soffermeremo soltanto su Marturi. Questo sorgeva in un luogo strategico, vicino alla Via Francigena: una delle principali arterie viarie dell’età Medioevale. La sua posizione strategica è testimoniata anche dagli atti emessi da Matilde di Canossa: ben sei di essi, infatti, furono sottoscritti presso il Borgo di Marturi. La corte della Contessa, infatti, era itinerante e perciò preferivano località che fossero facilmente raggiungibili. “E Borgo Marturi rispondeva a tali requisiti in quanto si trovava sulla principale arteria dell’epoca nell’Italia peninsulare (la Via Francigena), costituendo nel contempo un crocevia della stessa, in quanto al centro di una raggiera di percorsi di raccordo della strada con alcuni tra i principali centri della Toscana medioevale”.
Sul poggio davanti a Poggio Imperiale si trovavano l’abbazia e il castello di Marturi, dove attualmente sorge la Basilica di San Lucchese. “La crescente importanza che tale angolo della Val d’Elsa assunse nel corso dei secoli XI e XII, la sua posizione strategica al confine meridionale del contado fiorentino, la forte base patrimoniale qui detenuta da Guido Guerra, fedele all’autorità imperiale (Matilde di Toscana trasferì Marturi nel patrimonio dei Guidi agli inizi del XII secolo), e, non ultima, la probabile ricerca di autonomia dalla giurisdizione spirituale del vescovo fiorentino operata dalla pieve di Marturi, portarono ben presto Firenze a intervenire.” Guido Guerra era un fiero avversario della città di Firenze, tanto che la sua famiglia, dopo una lunga serie di conflitti si alleò con Siena, storica rivale di Firenze.
Nel
1155, durate uno di questi scontri tra le due città toscane, i fiorentini
distrussero il castello di Marturi e di conseguenza i senesi e i Conti Guidi
decisero di costruire un castello sulla collina di Poggio Imperiale, quello che
poi sarebbe diventato Poggio Bonizio.
Edificazione di Poggiobonizio (1155)
L’edificazione di Poggiobonizio iniziò nel 1156. “Questa data può ritenersi precisa, poiché una bolla di papa Adriano IV del 1155 dà facoltà al vescovo senese di quel tempo Ranieri di costruire una chiesa in Poggiobonizio nel fondo che il conte Guido Guerra (il vecchio) aveva donato a S. Pietro, perché il medesimo vescovo avesse giurisdizione sopra di essa”. Il nome Poggiobonizio trova origine dal nome di Bonizio Gastaldo de Marturi, citato in una carta dell’anno 1075. Il Pratelli, invece, afferma che il nome deriva dal proprietario del luogo dove sarebbero state costruite le nuove fortificazioni: Bonizzo della famiglia nobile dei Segni, castellano di Marturi.
Ipotesi ricostruttiva di Poggio Bonizio nella seconda metà del XII secolo in Poggio Imperiale a Poggibonsi |
All’edificazione
di Poggiobonizio parteciparono nove popolazioni, precedentemente residenti
nelle campagne circostanti, che poi andranno a formare le nove contrade del
borgo. Di queste conosciamo i nomi soltanto di sette: Borgo Marturi, Camaldo,
Siena, Talciona, S. Agnese, Gavignano, Papaiano; il Pratelli ipotizza come
ottava la popolazione di Pian de’ Campi.
Questo
luogo fu scelto per la sua ubicazione strategica: infatti si trovava nei pressi
delle strade più importanti dell’epoca (prima fra tutte la Via Francigena).
“L’azione di accentramento, l’amassamentum
omnium, sembra essere stata mediata dallo stesso Guido Guerra che quindi
programmò non solo l’urbanizzazione del nuovo centro ma anche il suo
popolamento; oltre a una probabile immigrazione spontanea, la documentazione
archivistica mostra persone provenienti da località nelle quali i Guidi erano
presenti matrimonialmente: vennero fatte trasferire famiglie già sotto la loro
egida”.
Per quanto riguarda l’ordinamento politico
inizialmente si fronteggiarono due autorità: i visconti di origine feudale e il
popolo, rappresentato dai boni homine.
“Dal consiglio dei «Boni homines» presto si addivenne all’ufficio del
Consolato, che rappresentava il potere esecutivo del Consiglio generale. Dai
documenti del tempo appare che i consoli in Poggiobonizzo abbiano variato
spesso di numero, ma il più delle volte li troviamo ricordati in numero di
quattro. Alla fine del XII secolo si cominciò per sedare le continue risse
interne, a chiamare a reggimento del Comune i Podestà che si scelsero tra gli
uomini più ragguardevoli delle vicine città, specialmente di Siena e Firenze.”
La città di Poggiobonizio (XII sec.)
La
costruzione di Poggiobonizio fu finanziata, oltre che dalle varie comunità che
la costituirono, anche da Guido Guerra. Per l’edificazione si utilizzarono
maestranze specializzate di alto livello, pagate dal Conte, che lavorarono
secondo un disegno progettuale ben definito. L’impianto urbano si estendeva per
più di sette ettari ed era circondato da un fossato e difeso da mura possenti.
Da quanto si può desumere dagli scavi archeologici, la parte più alta della
collina era destinata ai cittadini più facoltosi e ai signori, mentre il popolo
abitava lungo i versanti. “Non fu costruito un cassero con funzione di
separazione spaziale tangibile tra signore e popolazione; la distinzione tra
aree con importanza diversa venne eseguita costruendo una zona monumentale
(priva di cortine attestanti il distacco fisico e la posizione esclusiva), da
un lato delimitata dal quartiere attribuito ai senesi (la chiesa è inserita
nella parte sommitale mentre le abitazioni dovrebbero disporsi in direzione del
cassero mediceo e di S. Lucchese) e dall’altro lato dalla strada selciata che
in pratica doveva dividere in due metà l’intero complesso: sembra trattarsi
della Via di Mezzo, citata in molte carte concernenti transazioni di edifici.”
Si
ipotizza, inoltre, che la città fosse divisa in zone diverse: la zona senese, posta
tra l’area signorile e quella popolare; la zona ovest; la zona centrale; le
zone sud e nord-est, destinate all’edilizia popolare.
Nella
zona ovest era presente una grande chiesa che si affacciava su una piazza
lastricata al cui centro era posto il pozzo, che a sua volta sovrastava una
grande cisterna per la raccolta dell’acqua, utile soprattutto in caso di
assedio. “Le strutture per acqua rinvenute, le notizie sulle numerose fontane
presenti nel villaggio e sulla galleria in gran parte murata che si dipartiva
dalla Fonte delle Fate in direzione della collina, lasciano ipotizzare
l’esistenza di un’accurata rete di bottini.” L’acqua aveva quindi una funzione predominante per la città, tanto che le fonti
cittadine e i pozzi erano posti all’interno delle mura.
La zona centrale accoglieva un edificio destinato ai signori del castello. Questo aveva dimensioni 23 x 9 metri, realizzato in travertino con due o più piani e si affacciava sulla via principale di Poggiobonizzo. Inoltre erano presenti un pozzo per l’acqua e un silos per il grano, ad uso esclusivo del proprietario. La presenza di questi due annessi testimonia la classe sociale elevata della famiglia ivi residente.
Bicchiere rinvenuto nella fondazione del campanile della chiesa di Sant'Agnese in Poggio Imperiale a Poggibonsi |
La zona est era con molta probabilità la superficie donata da Guido Guerra a Siena, ed era occupata da una grande chiesa con campanile dedicata a Sant’Agnese. Questa aveva dimensione 19 x 40 metri, era divisa in tre navate ed aveva un’abside rettangolare. Sul lato sud-ovest, addossato alla chiesa, era presente un campanile a pianta quadrangolare. Al momento della sua costruzione nelle fondamenta fu posto un bicchiere di vetro contenente sabbia probabilmente per ragioni propiziatorie. Oggi esso ci consente di datare la costruzione della chiesa alla seconda metà del XII secolo. Un’altra scoperta avvenuta in fase di scavo, è la presenza di resti umani all’interno del campanile. Gli studiosi hanno ipotizzato che queste sepolture fossero destinate all’élite cittadina. L’ossario popolare si trovava invece all’esterno dell’abside. Davanti alla facciata sorgeva la fornace per la fusione del bronzo; questa tuttavia fu utilizzata solo una volta per la fabbricazione delle campane, e poi interrata.
Il Pratelli, nella sua Storia di Poggibonsi, dedica un intero capitolo all’ordinamento economico di Poggiobonizio. Il castello, infatti, già dal XII secolo aveva una fiorente economia, caratteristica che poi contraddistinguerà Poggibonsi fino ai nostri giorni. Tra le attività economiche più redditizie si possono citare: l’agricoltura, la viticoltura (la prima bettola per il commercio del vino risale al 1158), la coltivazione del frumento con annesso negozio di granaglie (dal 1191), arti tessili (stoffe e sete), fabbricazione di fustagno. “Tanto sviluppo di industrie fa necessariamente supporre una potente organizzazione tra quei ricchi mercanti come pure una specie di corporazione tra quei valenti artieri.” E’ interessante notare come i mercanti Poggibonsesi si fossero spinti fino alla Francia, con non poca ira dei rivali fiorentini
La guerra di Firenze contro Siena e la mediazione di Poggiobonizio per la pace
Le
rivalità tra Siena e Firenze nascono con l’indipendenza delle due città dopo la
morte di Matilde di Canossa nel 1115, ma si inaspriscono sempre di più nel
corso del XII secolo. Poggio Bonizio trovandosi esattamente a metà strada tra
le due fu teatro di numero scontri.
La
prima guerra risale al 1158 (vedi capitolo 2 sottocapitolo b.), la seconda al
1175 quando i fiorentini sconfissero i senesi nella battaglia di Asciano. Nel
1176 fu stipulato un accordo di pace nel quale “Siena cedeva a Firenze tutto
quanto era compreso nella antica donazione di Guido Guerra, mentre gli abitanti
di Poggiobonizzo dovettero giurare fedeltà a Firenze.”
Nel
1185 Federico Barbarossa,
Imperatore del Sacro Romano Impero, passò per la città di Poggibonsi e suo
figlio Enrico di Svevia rimase proprio in Toscana. L’anno dopo sconfisse i senesi nella battaglia di
Rosia e, per l’unica volta nella storia, i poggiobonizzesi combatterono contro
i senesi. Dopo questo conflitto Poggiobonizzo entrò nei domini imperiali.
Questa novità dette un impulso positivo ai commerci, già ben avviati, della
città che ben presto si arricchirono e si ampliarono nelle dimensioni.
Dopo
la morte di Enrico VI di Svevia avvenuta nel 1197, si venne a creare un vuoto
di potere, di cui approfittò il Cardinale Pandolfo, legato pontificio in
Toscana. Firenze stipulò una pace con Siena creando così una Lega Toscana alla
quale aderirono anche Volterra, Lucca, Prato e San Miniato. “Le clausole
stabilivano che tra i membri della Lega dovesse esistere una pace duratura;
potessero accedere ad essa i vescovi, i conti, i castelli; ogni componente della
Lega dovesse assicurare la propria sovranità sul suo territorio contro una
restaurazione della signoria imperiale.”
Poggiobonizzo
entrò nella Lega Toscana come Comune indipendente: il 1197 è l’anno in cui
questa indipendenza fu riconosciuta a pieno titolo. All’epoca la città era
florida e la sua popolazione ammontava a quasi 15.000 abitanti (per confronto
Pisa ne aveva 40.000).
Pochi
anni dopo Firenze conquistò Semifonte (corrispondente all’attuale Barberino):
Colle, S. Gimignano e Volterra si allearono con Semifonte, mentre Siena e
Poggio Bonizio stipularono un accordo con Firenze (patto di Fonterutoli, 1201).
Nel 1202 le truppe fiorentine, insieme a quelle senesi e poggiobonizzesi
conquistarono Semifonte.
L’anno
successivo Siena e Firenze rischiarono una nuova guerra per il possesso di
Montepulciano, ma la Lega Toscana intervenne e nominò come paciere Ogerio,
podestà di Poggiobonizzo, assistito da altri quatto notabili poggibonsesi: la
guerra fu così temporaneamente scongiurata.
Poggio Bonizio nel 1208 intervenne ancora una volta per riappacificare Siena e Firenze. Fu stipulato così un trattato, in cui si affermava che Siena doveva rinunciare a qualsiasi pretesa su Poggiobonizzo (pace di Fonterutoli 1208); i poggiobonizzesi capendo che ben presto sarebbero entrati definitivamente nell’orbita fiorentina stipularono un trattato segreto di alleanza con Siena.
Federico II dichiara Poggibonizio città imperiale (1220)
Nel
1219 gli Squarcialupi, eredi dei conti Guidi, e alleati di Siena e Poggio
Bonizio entrarono in guerra con Firenze; l’esercito fiorentino allora assediò
con moltissime difficoltà il castello di Monternano, roccaforte degli
Squarcialupi. Questi chiesero aiuto a Poggiobonizzo che inviò un esercito
contro i fiorentini, che tuttavia fu rovinosamente sconfitto in battaglia, con
la morte perfino del podestà. Agli Squarcialupi non restò che arrendersi e il
loro castello fu distrutto. Poche settimane dopo, nell’estate del 1220, arrivò
in Italia l’Imperatore Federico II che si recava a Roma per l’incoronazione. Federico tenne nei pressi di Roma
un’assemblea a cui parteciparono anche alcuni ambasciatori poggiobonizzesi; al
centro del dibattito c’era proprio la guerra con Firenze.
Alla
luce dei fatti, considerando la storica appartenenza di Poggio Bonizio alla
fazione ghibellina e non vedendo di buon occhio la rapida espansione di
Firenze, Federico II dichiarò Poggiobonizzo città imperiale nel 1220,
incorporando nel suo territorio anche in castello di Monternano.
Grazie
a questi privilegi imperiali, la città si ingrandì ulteriormente, rafforzando
le mura di cinta e fu anche ricostruito il castello di Monternano distrutto dai
fiorentini. Per alcuni mesi Poggiobonizzo divenne perfino la residenza del
vicario imperiale Corrado vescovo di Spira.
Poggio
Bonizio sembrava finalmente essere diventata una città autonoma e potente, ma i
continui contrasti tra i comuni toscani ben presto avrebbero condotto a nuove
guerre.
“La
popolazione di Poggiobonizzo, composta per lo più di gente dedita ai commerci
trovavasi in gran parte continuamente fuori di casa. Le piazze che
frequentavano quei mercanti erano, secondo il consueto, quelle di Francia,
quelle dei Paesi Bassi, delle Puglie e della Sicilia, quindi le assenze erano
sempre per lungo tempo. Inoltre numerosi convogli percorrevano continuamente la
via Pisana per ricevere e riportare le merci al mare e molti erano quelli
occupati in questi viaggi. […] Tendendo conto in ultimo delle donne, dei
fanciulli, dei vecchi e delle persone di secondaria importanza, […] noi ricaviamo
sicuro argomento per stabilire che la popolazione del nostro libero Comune
raggiungeva, verso il 1220, la cifra di circa 25.000 abitanti.” Così il Pratelli descriveva la società di Poggio Bonizio dell’epoca, e questi
dati sono stati suffragati dalle ricerche condotte dall’Università di Siena a
partire dagli anni ’90. Dagli scavi archeologici emergono una serie di
cambiamenti della struttura urbana rispetto al 1155. Molte case vengono
ricostruite, la viabilità riorganizzata e vengono create anche nuove botteghe artigiane.
“Poggio Bonizio aveva in questi anni un’economia polivalente, dove il terziario
si accompagnava all’agricoltura, con mestieri spesso organizzati in
corporazioni; nei documenti sono citati il consul
fabrorum, il consul calzolariorum, il
consul mercatorum,il consul pizicariolorum, il consul cambiatorum e una gamma di
attività molto articolata.”
La
rapida proliferazione dei commerci e dei mercati portò a un aumento demografico
che generò una conseguente crescita del settore edilizio “è così osservabile un
deciso aumento dei capocantiere (i magister
hanno una crescita del 716%), dei fabbri (166%) e dei ferratori che sembra
sottolineare il momento di intensa attività edilizia riscontrabile in questi
anni; un incremento delle attività legate alla produzione-distribuzione delle
derrate alimentari nel quale si distinguono i mugnai (+350%), raddoppiano i
tavernieri e i pizzicaioli; una crescita di medici, notai e giudici.”
Nel
corso del XIII secolo Poggio Bonizio cambiò anche dal punto di vista
architettonico: fu costruita una grande chiesa nella parte sud-ovest della
collina, detta chiesa di Sant’Agostino. Questa aveva dimensioni di 59,5 x 21
metri ed era suddivisa in tre navate. Le indagini archeologiche sono ancora in
corso, ma si ipotizza che fosse suddivisa in due zone: una per il popolo e una presbiteriale.
Per comprendere la società dell’epoca spesso gli studiosi si affidano all’analisi delle sepolture. E’ questo il caso del cimitero attiguo a Sant’Agostino che ha mostrato una serie di tombe infantili all’interno della chiesa e altre di adulti sui lati sud e ovest. Ciascuna tomba custodisce la storia del suo proprietario: quattro conchiglie fanno pensare ad un pellegrino morto improvvisamente a Poggio Bonizio, dei resti semidistrutti fanno ipotizzare che quelle tombe fossero antecedenti alla costruzione della chiesa. I gruppi di sepoltura all’interno della chiesa sono in totale quattro: tre di sepolture infantili in casse di pietra e una di adulti in fossa terragna. Infine, è emerso dagli studi che l’utilizzo come cimitero continuò anche dopo la distruzione della città (1270).
Immagine aerea della chiesa di Sant’Agostino
in corso di scavo; nel riquadro sono evidenziati in rosso le murature
perimetrali asportate dalle spoliazioni di epoca moderna e le prime due campate
della chiesa, ancora da indagare
in
Poggio Imperiale a Poggibonsi |
La battaglia di Montaperti (1260)
L’apparente
pace tra Siena e Firenze durò ben poco e nel 1229, dopo aver sottomesso Pistoia
l’anno precedente, i fiorentini invasero nuovamente il territorio senese, tanto
da arrivare nel 1230 alle porte della città. Il conflitto si tramutò in una
serie di scorribande da parte di entrambe le fazioni nella Val d’Elsa e nel
Chianti, che si protrassero fino al 1235.
Dopo
la morte di Federico II nel 1250 si ebbero nuovi conflitti tra guelfi e
ghibellini. Nel 1254 Firenze saccheggiò Poggiobonizzo e Staggia e distrusse il
castello di Monternano. Tre anni dopo, durante l’ennesima guerra tra Siena e
Firenze, i fiorentini chiesero ai poggiobonizzesi di ospitare l’esercito in
marcia. Questo però si rivelò essere un inganno: i fiorentini si impadronirono
dell’abitato e smantellarono le fortificazioni. Poggio Bonizio fu in parte
distrutta e gli invasori lasciarono un loro podestà al governo della città.
Si arrivò quindi al 1260, anno della grande battaglia di Montaperti, nella quale Poggio Bonizzo grazie ad un’astuzia politica, riuscì a tornare ai suoi antichi fasti. Essendo passata sotto il controllo di Firenze, questa chiese l’invio di truppe: Poggiobonizzo tuttavia non le inviò sostenendo di aver necessità di manodopera per ricostruire quanto distrutto dagli stessi fiorentini pochi anni prima. Allora il governo fiorentino chiese di mandare solamente viveri e rifornimenti per l’esercito, cosa che avvenne. Tuttavia in grandissimo segreto Poggiobonizzo stipulò un patto con Siena per l’invio di truppe. La battaglia avvenne vicino Siena, a Montaperti e si risolse con una schiacciante vittoria senese. “Dopo la sonante vittoria ghibellina ed il Parlamento di Empoli, in cui grandeggiò la figura di Farinata degli Uberti, e la costituzione della Taglia Toscana del 1261, il consiglio generale di Poggiobonizzo deliberò di rialzare le mura e le fortificazioni e, con l’aiuto finanziario dei pisani e dei senesi, tali opere riuscirono così perfette da restare celebri per la resistenza opposta all’esercito angioino nel 1267.
La vicenda di Usiglia (1267)
Dopo
la Battaglia di Benevento del 1266 e la morte di Manfredi,
Carlo d’Angiò si portò in Toscana e fu
nominato dal papa Vicario per questo territorio. Carlo inviò allora il Duca di
Montfort,
insieme ai fiorentini, prima ad assediare Siena e poi Poggiobonizio. Durante
l’assedio, che si stava prolungando più del previsto, lo stesso Re Carlo con i
rinforzi francesi andò in aiuto del Duca.
“Ma
intanto i poggiobonizzesi e i confederati ghibellini si difendevano bravamente.
Con frequenti sortite mettevano spesse volte in scacco l’esercito del Re, che
impensierito dell’andamento delle cose, stabilì di stringere con più vigore
l’assedio per prendere ad ogni costo quel castello che era gran parte della
potenza ghibellina in toscana.” I
poggiobonizzesi si battevano valorosamente, ma più l’assedio andava avanti, più
le scorte di cibo iniziavano a diminuire. All’inizio di dicembre dell’anno 1267
i governanti di Poggiobonizzo stavano per arrendersi per fame, quando una
giovane donna di nome Usiglia si fece avanti proponendo un piano assai ardito.
Alla testa di un manipolo di valorosi soldati si sarebbe introdotta all’interno
dell’accampamento francese, posto sul colle di fronte a Poggio Bonizio (dove
attualmente sorge la basilica di San Lucchese) e avrebbe cercato di uccidere il
Re. “Queste parole infuocate di Usiglia parvero agli Anziani poggiobonizzesi
come la voce di un messaggero celeste; nessuno seppe contraddire. […]
Coll’approvazione dei capi della Comunità furono scelti trecento dei migliori
guerrieri, e fatti in fretta tutti i preparativi, a notte avanzata e
burrascosa, mentre alcune schiere facevano finta sortita dalla porta asturpiese
e da quella di San Michele presso il Vallone, e i soldati di Carlo D’Angiò si
muovevano da quelle parti, la schiera dei trecento con a capo la valorosa
Usiglia usciva improvvisamente dalla porta di Santa Maria di faccia alla chiesa
di Camaldo (San Lucchese) dove trovavasi la tenda regale.” Sulle prime i francesi furono sorpresi, ma in breve tempo riuscirono a contrattaccare
e i trecento valorosi insieme ad Usiglia caddero combattendo. Il piano dunque
fallì, ma la giovane donna è ancora oggi ricordata per il suo gesto eroico.
La
storia di Usiglia tuttavia non è unanimemente accettata come veritiera, tanto
che alcuni autori, tra cui l’Antichi, la considerano soltanto una leggenda.
Fallito anche questo disperato tentativo, ai poggiobonizzesi non restò altro che arrendersi a Carlo d’Angiò. Il Re francese però colpito dal valore dei difensori risparmiò la città e richiese soltanto un giuramento di eterna fedeltà. “Come garanzia di questo giuramento egli fece innalzare il Cassero sulla punta meridionale del castello, che sta di fronte alla Staggia, lasciandoci poi a custodirlo alcuni suoi soldati rinforzati da aiuti sangimignanesi."
La distruzione di Poggiobonizio (1270)
Nel
1269 i ghibellini senesi comandati da Provenzano Salvani ingaggiarono nuovamente battaglia con i fiorentini presso Colle Val d’Elsa, a
cui presero parte anche milizie poggiobonizzesi poiché lo stesso comandante
senese era anche podestà di Poggiobonizzo. I senesi furono sconfitti e
Provenzano Salvani catturato e decapitato. A seguito della sconfitta Poggio
Bonizzo fu assediata nel giugno 1270 dall’esercito fiorentino con rinforzi
napoletani, comandato da Bertoldo Compagnoni, già vincitore di Colle, e dal Duca
di Montfort. Come avvenuto tre anni prima anche in questo caso gli abitanti di
Poggio Bonizio si fecero notare per il loro grande valore, tanto che gli
assedianti arrivarono a pensare che la città fosse imprendibile, se non per
fame. “I guelfi inviarono nella cittadella un’ambasceria con il pretesto di
trattare un’onorevole resa, ma con lo scopo di rendersi conto della vera
situazione degli assediati. I poggiobonizzesi non si fecero cogliere alla
sprovvista e, dopo aver riempito le botti ed i tini di tufo, ne ricopersero la
cima con grano. Sembrava così che vi fosse opulenza, mentre, in verità, la
carestia batteva insistente alla porta. Li ambasciatori portati di proposito a
giro per il fortilizio, osservarono tutta quella grazia di Dio e riferirono ai comandanti
che Poggiobonizzo aveva ancora vettovaglie in abbondanza.” Fidandosi degli ambasciatori quindi, le truppe fiorentine iniziarono a
ritirarsi, ma una donna poggiobonizzese, il cui figlio era stato fatto
prigioniero andò al campo fiorentino e in cambio della liberazione del
ragazzo, svelò lo stratagemma utilizzato
dai suoi concittadini. I fiorentini, rincuorati da questa notizia, ripresero
con ancora più vigore l’assedio. Vistisi orami perduti i poggiobonizzesi,
piuttosto che rimanere servi dell’antico nemico fiorentino, decisero così di
abbandonare nottetempo la città. Dopo alcuni giorni l’esercito fiorentino
sorpreso da così poca resistenza entrò in città e vi trovò solo poveri e
infermi. I fiorentini, insieme ad alcuni comuni alleati, si dettero alla totale
distruzione della cittadina. In questa fase si distinsero, per la loro furia
nel distruggere, i colligiani e i sangimignanesi, mentre Castelfiorentino si
astenne da qualsiasi distruzione, poiché reputava disonorevole infierire su una
città ormai ridotta allo stremo. A tale distruzione scamparono solo alcune
famiglie povere (714 secondo il Pratelli) che scesero a valle e si stabilirono
presso l’antico Borgo Marturi che da allora prese il nome di Poggibonsi.
La
distruzione ad opera dei fiorentini fu totale e non si limitò alla difese
(mura) e agli edifici principali, ma furono abbattute anche abitazioni e
chiese, e furono interrate le fontane; in aggiunta fu emanato un solenne
divieto di ricostruire il castello.
Seppur sconfitti e costretti a fuggire, i poggiobonizzesi non si persero d’animo e, con grande spirito di sacrificio, decisero di ricostruire immediatamente, anche se più a valle, la loro città. Questa capacità di rialzarsi dopo le disgrazie sarà una caratteristica che contraddistinguerà la popolazione poggibonsese per tutta la sua lunga storia, tanto che, dopo ogni disgrazia, la città saprà riprendere vita con sempre maggiore vigore.
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